Moncalieri, 2 marzo 2023
Migranti, una storia infinita
Pensavo di non dovere più scrivere nulla su questo argomento, avendone già parlato parecchio in passato, ma la tragedia di Crotone dei giorni scorsi mi spinge a scrivere ancora qualcosa in merito; in calce a questo scritto riporto i relativi miei articoli precedenti. Non credo di avere molto da aggiungere a quando già detto e voglio di seguito riportare alcune semplici, direi banali, considerazioni generiche, che si oppongono a molte delle affermazioni fatte da politici e giornalisti. Le affermazioni che vengono fatte generalmente sul fenomeno della migrazione risentono di preconcetti ideologici e vengono spesso espressi solo in funzione dell’ottenimento di effimeri consensi popolari. La migrazione umana viene trattata come un’emergenza temporale e localizzata mentre invece si tratta di un evento da sempre presente nella storia dell’uomo ed in ogni luogo; da questo modo di concepire gli accadimenti derivano proposte di soluzioni assolutamente prive di ogni possibilità di contrastare, rallentare o regolare i flussi migratori. Purtroppo, come ho già scritto altre volte, la classe politica mondiale attuale è assolutamente inadatta a concepire programmi per il medio-lungo termine e quindi i problemi di lungo respiro rimangono sempre irrisolti. Fatte queste premesse, ora passo ad esaminare singole proposte, assolutamente prive di ogni possibilità di applicazione pratica o irrilevanti, che vengono presentate come soluzioni del problema.
L’accoglienza di tutti coloro che vogliono scappare da una situazione di pericolo o di disagio estremo è certo dal punto di vista etico un argomento irreprensibile, ma fa acqua da tutte le parti se la si esamina in concreto. Anche se tutti i paesi con possibilità economica e sociale fossero disposti ad un’accoglienza senza limiti si metterebbe in moto un meccanismo immenso in cui gli aspiranti migranti aumenterebbero in maniera assolutamente incontrollabile.
Oggi si parla di centinaia di migliaia (nel caso dell’Ucraina di milioni) di migranti e questo già mette in crisi i nostri sistemi politico-sociali, ma queste numeri sono solo una piccola frazione di quello che potrebbe accadere in caso di rivolgimenti sociali, grandi catastrofi naturali o guerre che coinvolgessero popolazioni numerose. Se l’Egitto, per esempio, subisse un forte rivolgimento economico-sociale, probabilmente milioni di suoi cittadini si riverserebbero sulle coste italiane. Uno scenario ancora più impressionante, che riguarderebbe l’intero globo, si presenterebbe in caso di destabilizzazione dei paesi più popolosi del mondo, India e Cina.
In ogni caso, anche nella improbabile assenza nel futuro di cause destabilizzanti violente, esiste il problema costituito dalle forti differenze nella dinamica della crescita demografica fra i paesi del mondo evoluto e gli altri. A titolo d’esempio, la Nigeria attorno al 1970 aveva una popolazione numericamente più o meno eguale a quella italiana; oggi la sua popolazione ha superato i 218 milioni di abitanti, con un età media bassissima ed una prospettiva di crescita demografica che la porterà ad essere il terzo paese più popoloso al mondo, dopo l’India e la Cina, entro il 2050.
In conclusione, vorrei capire come potremmo fare fronte a ondate di milioni di essere umani che potrebbero arrivare nel nostro paese.
Il nostro capo del governo (al maschile, come lei preferisce) in passato parlava di blocco navale alla Libia, per contrastare l’arrivo dei migranti. Saggiamente ha ora accantonato l’idea: il blocco navale delle coste di una nazione costituisce un atto di guerra verso la stessa e impegna forze militari (e quindi esborsi economici) ingenti; non serve a nulla, perché immediatamente le potenti organizzazione criminali preposte a questo scopo trovano altri punti di partenza; oltre, e più, che via mare, i migranti si muovono percorrendo rotte terrestri.
Incidentalmente faccio notare che in passato avevo avuto una posizione opposta rispetto ai migranti provenienti dall’Albania (Riflettete gente, riflettete), ma si trattava di un caso diverso per metodi di attuazione, che riguardava una sola provenienza e un solo punto di arrivo.
Un altro argomento che viene fuori da più parti è quello dei cosiddetti “corridoi umanitari”, ossia di vie legali per consentire a chi ne ha il diritto (ma sarebbe meglio dire: a chi noi decidiamo che ne abbia il diritto) di arrivare in sicurezza in Italia. Vorrei sapere come si fa a creare corridoi umanitari da paesi come l’Iran, l’Afghanistan, i Sud Sudan, Siria, ecc.; in ogni caso tali vie di fuga non potrebbero certo riguardare tutti gli aventi diritto o comunque aspiranti all’espatrio. Per essere concreti, non mi pare che i milioni di Ucraini fuggiti dalla loro patria in guerra abbiano usufruito di corridoi umanitari.
Viene ormai quasi generalmente accettata l’idea che il nostro paese ha la necessità di un congruo numero di immigrati per sopperire alla mancanza di manodopera in settori ormai rifiutati dagli italiani. La soluzione a volte proposta è quella di selezionare la forza lavoro richiesta dal nostro sistema produttivo nei posti di partenza. Come già detto al punto precedente, alcuni paesi non sono accessibili per tale scopo; a parte che non è chiaro quali strutture (private o pubbliche?) dovrebbero eseguire questo incarico. Le strutture pubbliche non riescono neppure a far incontrare l’offerta con la richiesta di lavoro in Italia, figuriamoci all’estero. Qualche grande azienda potrebbe pensare di selezionare all’estero il personale di cui ha bisogno, ma questo è certo al di fuori delle possibilità di medie e piccole aziende.
Per fortuna nessuno ha proposto di sigillare i nostri confini, per impedire l’ingresso ai migranti nel nostro paese: la cosa è talmente impossibile dal punto di vista pratico, che non può essere presa in considerazione.
Credo che non sia quasi il caso di parlare delle azioni intraprese contro le ONG, irrilevanti sul piano del numero di migranti interessati e non certo commendevoli sul piano umanitario
A questo punto del mio scritto la conclusione potrebbe essere: allora allarghiamo le braccia e affidiamoci alla buona sorte: è esattamente il contrario di quello che è necessario fare.
Preso atto del fatto che il fenomeno migratorio non è un fatto episodico ed occasionale, bisogna iniziare a ragionare su cosa è possibile fare per ridurre al minimo le conseguenze dannose e i lutti derivanti dallo spostamento di grandi massa di individui.
Il primo problema che sorge quando un numeroso gruppo di migranti arriva repentinamente è quello di alloggiarli, di curarli e di nutrirli nel più breve tempo possibile e in maniero decorosa (senza tralasciare i problemi alla sicurezza che potrebbe derivare da alcuni di loro). In passato mi sono sempre meravigliato in occasione di disastri naturali (terremoti) del fatto che, in un paese come il nostro con strutture turistiche capaci di accogliere decine di milioni di persone, risultasse difficile e fosse attuata con notevole ritardo la ricollocazione di qualche decina o centinaia di migliaia di persone. Questo perché evidentemente non c’è alcun piano per queste emergenze, in Italia purtroppo ricorrenti. Il problema che riguarda i migranti è simile ed è stato risolto costruendo degli alloggiamenti più simili ai campi di concentramento che a strutture ricettive adeguate alla bisogna. Su questo punto occorre riflettere seriamente e a lungo per trovare delle soluzioni adeguate, con piani adattabili anche alle esigenze estreme. Mi rendo conto delle difficoltà e delle implicazioni complesse del problema, ma appunto per questo non può essere affrontato quando si presenza l’emergenza, ma va accuratamente studiato prima.
Esiste poi il problema del respingimento dei non aventi diritto: a parte i vari proclami che poi non hanno avuto alcun seguito pratico (ricordate gli ottocentomila che Salvini doveva rispedire a casa?), far ritornare coloro che sono arrivati in Italia nei loro paesi di origine è molto costoso ed in qualche caso impossibile, se non vi sono accordi in merito con i governi dei paesi di provenienza. Non è più conveniente per noi e per loro selezionare quelli che potrebbero essere utili al nostro mondo produttivo ed avviarli al lavoro? Certo un’azione di questo tipo non è semplice ed è difficile da digerire, ma forse rappresenta una soluzione migliore di quella di mandarli per strada con un foglio di espulsione, destinati a lavorare in nero o a fare da manovalanza alla criminalità locale. Gli hotspot sono poi un'inutile spesa ed un modo di procrastinare il problema.
Un’altra cosa che avevo già scritto è quella relativa agli alloggiamenti dei migranti: cosa vieta che essi prestino i loro servizi (certo quelli di loro che ne sono in grado) per far funzionare il posto in cui essi stessi vivono, certo con il coordinamento di personale italiano?
Non penso che le idee che ho espresso prima siano le migliori né le uniche da mettere in campo per un problema gigantesco come è quello di cui sto scrivendo, ma voglio solo dimostrare che è necessario che persone più esperte di me del problema dovrebbero elaborare dei piani, non d’emergenza ma di routine, per tentare governare il fenomeno.
Ma, come dicevo all’inizio, la classe politica non solo italiana, ma mondiale, non è in grado di elaborare programmi di medio-lungo termine!
Pietro Immordino
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