Moncalieri, 16 maggio 2020
Corona virus e sassolini
Continuo a levarmi sassolini dalle scarpe (v. anche Sassolini , Altri sassolini e Sardine e sassolini) aiutato nelle mie riflessioni dalla diffusione del virus.
La sanità di prossimità
In questi ultimi anni ho sentito in continuazione sui media l’affermazione che “la sanità italiana è la migliore del mondo” e la cosa mi lasciava alquanto perplesso. Come utente del Servizio Sanitario Nazionale non sono mai riuscito ad ottenere nessun risultato utile per la mia salute, se non quello relativo ad una operazione chirurgica subita molti anni fa. Avendo a lungo sofferto di problemi alla schiena, mi sono accorto dell’impossibilità di ottenere delle cure efficaci servendosi del servizio pubblico. Quando hai un problema sanitario, escludendo le circostanze nelle quali hai la necessità di recarti al pronto soccorso, ti rivolgi al tuo medico di base (che brutta definizione, quanto meglio era medico di famiglia) che ti rimanda spesso ad uno specialista, la cui prescrizione poi deve essere autorizzata dal medico di base. Prima di cominciare a curarti passano parecchi mesi (e nel frattempo il mal di schiena aumenta!). Se poi la cura non da buoni risultati ricominci il giro…
Viceversa nei casi gravi che richiedono un intervento operatorio immediato la sanità pubblica ha dimostrato una efficienza notevole. Riporto il caso di un amico che aveva subito un attacco cardiaco: nel giro di pochi minuti dalla telefonata al 118 era già in sala operatoria e pochi giorni dopo l’intervento è ritornato a casa in perfette condizioni.
La mia impressione è che la sanità pubblica funzioni benissimo quando è richiesto un intervento immediato per un fatto molto grave, mentre non è efficace nella gestione dei comuni acciacchi diffusi e di lunga durata dei cittadini. Questo è una conseguenza del fatto che al medico di base non viene sufficientemente riconosciuta l’autorità e la competenza che dovrebbe avere nella maggior parte dei casi. Durante questa epidemia è venuto fuori chiaramente che la Lombardia aveva un sistema ospedaliero a livello di eccellenza (nonostante qualche errore emerso nella gestione dei primi casi), ma che la rete dei medici diffusi sul territorio non aveva lo stesso livello di qualità. Ora tutti dicono che bisogna aumentare l’efficienza della sanità di prossimità, cioè dare poteri e mezzi maggiori mai medici di base, incrementando anche la intercomunicazione fra di essi e con le strutture sanitarie centralizzate. Ma tutto questo dovrebbe essere omogeneo a livello nazionale, e di questo parlerò nel prossimo capitolo.
Le Regioni
L’emergenza ha messo in rilievo differenze molto forti nei comportamenti e nelle situazioni regionali. In particolare la risposta alla diffusione del virus è risultata eccellente in Veneto e molto meno efficace in Lombardia e in Piemonte.
Già all’epoca della cosiddetta abolizione delle provincie avevo scritto che la cosa di gran lunga migliore sarebbe stata di abolire le regioni e lasciare le provincie, magari aumentandone le competenze, pur rendendomi conto che mai e poi mai la classe politica potrebbe rinunciare ai vantaggi che le derivano dal potere regionale. Ma su cosa si fonda questo potere? Essenzialmente sulla gestione della sanità pubblica, che rappresenta una parte cospicua dei bilanci regionali; in alcune regioni la spesa per la sanità si avvicina al 90% della spesa totale.
La Costituzione Italiana stabilisce il principio di eguaglianza fra tutti i cittadini, a prescindere dalla regione in cui abitano, e quindi la sanità dovrebbe essere prevalentemente gestita a livello statale, con eventuali deroghe gestionali locali. Non è aderente ai principi costituzionali che un cittadino della Calabria abbia a disposizione nella sua regione cure differenti per qualità e quantità rispetto ad un cittadino della Lombardia. Mantenere le province, che di fatto continuano ad esistere, e abolire le regioni avrebbe aiutato a gestire il rapporto fra stato ed enti locali, consentendo alle strutture centralizzate la possibilità di governare le norme fondamentali della sanità e alle province di curare l’organizzazione territoriale. A tale proposito è facile notare come l’organizzazione delle strutture di servizio alla popolazione sia in realtà suddivisa su base provinciale (per esempio Giustizia, Prefetture, Questure, Genio Civile, Catasto, ecc.) e non si vede perché invece la Sanità debba essere organizzata su base regionale. Inoltre, ed è chiaramente venuto fuori in questa emergenza, le dimensioni e la forza politica di alcune regioni sono comparabili a quelle dello stato, per cui i contrasti che sorgono fra stato e regione sono risolvibili con grande difficoltà. Ancora, le dimensioni delle regioni più grandi non consentono una reale vicinanza dei cittadini all’istituzione, anche in dipendenza del fatto che le differenze fra le varie province all’interno di una stessa regione sono notevoli: cosa hanno in comune in Piemonte le province di Vercelli e Cuneo o in Sicilia le province di Palermo e Enna? Ma, come ho già detto, è un discorso inutile: i politici non rinunceranno mai a centri di potere così forti e remunerativi.
L’albero della cuccagna
Nella società italiana, ed europea, l’intervento statale in casi di sciagure di grandi dimensioni (terremoti, allagamenti, siccità, ed ora pandemia) è ritenuto obbligatorio ed indispensabile. Questo intervento è l’esemplificazione del patto sociale su cui è basata la nazione e deve servire a tenerla unita sotto l’egida del bene comune.
Detto questo, però, bisogna comprendere i limiti ed i contesti entro cui l’aiuto statale agisce: non c’è un albero della cuccagna scuotendo il quale vengono giù soldi a volontà per tutti, lo stato distribuisce soldi che in qualche modo poi debbono essere restituiti dalla comunità nazionale, direttamente o per il tramite di comunità sovranazionali (ad es. CEE). Naturalmente anche in questa occasione si levano voci che chiedono contemporaneamente di dare aiuti finanziari a tutti gli Italiani (magari a fondo perduto) ed abbassare drasticamente le tasse, magari con assurdità come la flat tax non flat (questa è la sintesi, magari brutale, ma efficace, della proposta Salvini).
Ogni volta che lo Stato eroga dei soldi ai cittadini deve trovare delle forme di finanziamento, cioè deve trovare qualcuno che gli dia i soldi da erogare, pena quello che viene definito default.
Io, quando mi trovo di fronte a problemi in cui non sono esperto, cerco di comprenderli alla luce di altre semplici circostanze che posso capire bene. In questo caso paragono lo stato ad una grande famiglia di una volta, in cui c’era la capostipite (l’erario statale) che gestiva tutti i bisogni della famiglia ricevendo dai singoli membri abbienti (i contribuente) una parte del necessario. Naturalmente spettava ai membri più influenti della famiglia (i politici) fissare le quote da pagare (tasse) da parte dei singoli membri, in base alle loro possibilità economiche e necessità; questa decisione era per la famiglia, come pure per lo stato, la cosa più difficile da gestire. Altro punto dolente della gestione è costituito dal livello degli aiuti da fornire ai membri della famiglia in difficoltà economica. Quando i contributi familiari non sono sufficienti a coprire tutte le spese della famiglia, la capostipite chiede ai membri più influenti se sia il caso di aumentare i contributi degli abbienti (la tasse) o chiedere un prestito all’esterno o all’interno della famiglia (emissioni di titoli di stato, che possono essere acquistati dai cittadini o da enti esterni). Quando sono i familiari che finanziano il debito (i BOT degli anni ‘70 del secolo scorso) il rischio per la famiglia è ridotto, perché tutto può essere ricomposto all’interno della famiglia stessa; se a finanziare i debiti sono persone esterne (Fondi di Investimento, Banche, ecc.) e la situazione debitoria della famiglia è molto alta (debito pubblico) questi pretendono delle garanzie, dei tassi più alti (Spread) e possono anche rifiutare nuovi prestiti, esigendo la restituzione dei pregressi in maniera forzosa (imposizione della troika).
La famiglia può tentare di servirsi della cerchia di amici e conoscenti a cui appartiene (CEE) per ottenere dei prestiti più elevati o a tassi più bassi, cercando di vincere la ritrosia di alcuni dei familiari (i sovranisti) che non amano interferenze nei fatti interni alla famiglia.
In ogni caso i debiti vanno restituiti e la famiglia (lo stato) non può pensare di fare debiti all’infinito e in quantità spropositata, con la consapevolezza che per saldare i debiti i componenti abbienti della famiglia (i contribuenti) dovranno aumentare la loro contribuzione globale (l’introito complessivo dell’erario); questo può essere fatto per due vie, aumentando la percentuale dei propri guadagni che ciascuno cede alla famiglia (le tasse) oppure aumentando i guadagni dell’intera famiglia (il PIL).
… e ammesso (ma non concesso) che i debiti non debbano pagarli i padri, li pagheranno i figli.
Gli animali
Fino alla mia giovinezza inoltrata dimoravo a lungo al mio paese natale, praticamente tutta l’estate. Si trattava di un paese agricolo con una presenza di specie animali notevole, sia in quantità che in qualità. Fino a metà degli anni ‘60 del secolo scorso muli ed asini erano largamente usati per il lavoro ed il trasporto, le galline circolavano per le vie del paese, era presente un gatto in quasi tutte le case, c’erano diverse greggi di pecore e capre, circolavano indisturbati cani da caccia o da guardia. La convivenza con gli animali era scontata e non destava preoccupazioni; mia mamma, però, mi diceva sempre di non stare troppo a contatto con gli animali, poiché da essi potevano essere trasmesse alcune malattie. Io non ho mai avuto alcun senso di timore o di repulsione verso gli animali, anzi osservare la vita sia di quelli domestici che di quelli selvatici mi è sempre piaciuto, ma mi da fastidio il comportamento di chi bacia in bocca il proprio cane o il proprio gatto o/e si li porta nel letto; la diffusione del Covid 19 mi ha fatto riflettere sul pericolo costituito da una troppo grande intimità con gli animali.
Appurato che il virus attuale nasce da una specie di pipistrello e che si è trasmesso all’uomo attraverso un altro animale non ancora identificato, anche i virus di tutte le forme influenzali recenti sono stati trasmessi all’uomo da specie animali, e quindi il salto del virus dall’animale all’uomo è una circostanza frequente. Attualmente la OMS pensa che il Covid 19 si possa trasmettere da uomo ad animale domestico, ma non viceversa. A parte il dubbio che fanno sorgere affermazioni di questo tipo, vista la scarsissima conoscenza che si ha del virus, in ogni caso non è per niente escluso che alcuni virus possano fare il salto da animali domestici all’uomo: un corona virus è presente con frequenza, per esempio, nei gatti randagi.
Senza assolutamente volere negare la grande utilità degli animali domestici (basti pensare ai cani per ciechi o a quelli che fanno compagnia ai bambini disabili) quello che voglio dire è che anche all’interno della convivenza con gli animali domestici un poco di prudenza ed attenzione non guasta. Soprattutto invito i possessori di animali a considerare il fatto che non tutti gradiscono la vicinanza di un animale e che il cane “buonissimo” ogni tanto manda all’ospedale un bambino, o peggio.
Bene, con qualche sassolino in meno nelle scarpe cammino un poco, ma solo un poco, meglio: ce ne sono ancora tanti a darmi fastidio.
Pietro Immordino
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