Moncalieri, 19 gennaio 2020
Sardine e sassolini
Il gran parlare che se ne è fatto in questi giorni mi ha spinto ad informarmi meglio sul movimento delle sardine. La ricerca mi ha portato a giudicare positivamente i ragazzi che partecipano al movimento, sia sotto l’aspetto di quello che dicono sia sotto l’aspetto di come lo dicono.
Ho sentito ragazzi che, cosa oggi non molto comune anche fra i politici, parlavano un’ottima lingua italiana; inoltre non erano dei dilettanti allo sbaraglio: riuscivano ad esprimersi con chiarezza e a tenere testa agli interlocutori con sapienza ed efficienza. Insomma, un gruppo molto diverso da quelli visti in questi anni, che hanno nella violenza verbale e nell’incompetenza la loro arma principale, allo scopo di connettersi alla parte della popolazione meno avveduta e colta. Mi è apparsa evidente la capacità di questi ragazzi di sfruttare i media, e non solo i social, con sapienza ed efficienza. In particolare sono rimasto sorpreso dalla loro bravura televisiva, da professionisti, senza imbarazzi o tentennamenti.
Detto questo, è ancora tutta da provare la loro capacità, ma direi possibilità, di incidere sul tessuto sociale e politico italiano; parlando delle sardine, però, penso soprattutto a quello che è stato uno degli argomenti principali che il movimento ha portato avanti: la concentrazione degli esponenti dei partiti su problemi insignificanti e praticamente inesistenti e utili soltanto a suscitare dibattiti senza alcun contenuto reale.
Già qualche tempo fa ho pubblicato Sassolini, in cui accennavo alle discussioni inutili in politica, ripromettendomi di parlare nuovamente del problema; in questa mia nota parlerò di argomenti insignificanti di cui si parla tanto in questi giorni e di argomenti decisivi per la vita della nazione che vengono passati quasi sotto silenzio.
La prescrizione
Pare che il cambio immediato della legge sulla prescrizione dei processi penale sia il problema principale del popolo italiano, a giudicare da quanto ci si accapigliano numerosi esponenti di tutti i partiti. La legge, a dire comune, produrrà i suoi primi effetti fra un paio d’anni e, sempre secondo quanto sento dire, non risolverà certo i problemi della giustizia penale.
Unanimamente si ritiene che il sistema della giustizia debba essere riformato complessivamente, cambiando profondamente procedure e dotazioni del personale. Alcune di queste procedure potrebbero essere cambiate senza alcuna spesa aggiuntiva e, in qualche caso, con risparmi conseguenti. A parte coloro che ritengono utile un cattivo e lento funzionamento dell’azione penale, e temo che non siano pochi, invece di perdere tempo in una sterile discussione sulla prescrizione, perché non si mette mano alla modifica drastica delle procedure per abbreviare, snellire e ridurre i processi?
Faccio una breve considerazione: in Italia, come temo in tutto il mondo, la legalità sembra prendere l’aspetto di un sistema ad uso e consumo degli addetti, magistrati ed avvocati, piuttosto che essere conformata per rispondere alla richiesta di giustizia delle vittime. In altro scritto citavo l’asserto di un alto magistrato: io ho sempre messo il fatto sotto l’ombrello del diritto e non il diritto sotto l’ombrello del fatto. Affermazione che forse non fa una piega sotto l’aspetto giuridico, ma che, ai profani come me, suona così: per la legge sono più importanti procedure e norme giuridiche che la realtà dei fatti. In ogni caso mi pare praticamente assurdo che si parli di ridurre la durata dei processi a tre quattro anni, come se questo fosse una panacea per vittime e imputati. Sempre da ignorante in materia, non capisco proprio perché i processi, sia civili che penali, la cui soluzione è evidente già ad un primo esame, non debbano essere risolti in tempi brevissimi, mesi o addirittura giorni. Del resto nel nostro ordinamento sono previsti tre gradi di giudizio, di cui gli ultimi due dovrebbero essere percorsi a rischio degli imputati: mi riferisco al fatto che oggi all’imputato che ricorre in appello non può essere riconosciuto un aggravio della pena.
I migranti
Credo che nessuno possa sottovalutare l’enorme problema costituito dallo spostamento di masse ingenti di persone, in fuga dalla miseria, o da guerre ed oppressioni, verso paesi più ricchi e più sicuri; ma mi sembrano inutili polemiche e atteggiamenti che non portano a nulla di concreto. Molto si è già parlato del fatto che già Minniti aveva ridotti drasticamente i flussi di migranti dalla Libia verso la Sicilia; Salvini aveva detto in campagna elettorale che avrebbe rimandato a casa tutti gli irregolari presenti in Italia e non ne ha rimpatriato praticamente nessuno; la Meloni parla di un improbabile, costosissimo e complesso blocco navale delle coste libiche, mentre negli ultimi tempi si è aperta la rotta Algeria – Sardegna e molti migranti passano attraverso i confini di terra con la Slovenia.
Davanti ad un fenomeno che durerà nei decenni a venire e le cui proporzioni si potrebbero aggravare improvvisamente per l’instabilità di grandi paesi (si pensi p.e. all’Egitto) la discussione si accentra sulla presenza di poche centinaia di profughi sulle navi delle ONG e su di un processo a Salvini, che probabilmente non avrà nessuna conseguenza per l’interessato.
La sicurezza
Fra la gente è effettivamente presente un senso di insicurezza notevole, per lo più dovuto alla presenza degli immigrati irregolari. Salvini e la Meloni cavalcano e in qualche modo aumentano questo fenomeno, attribuendolo alla presunta massiccia presenza di immigrati sul nostro territorio. E’ indubbio che la cattiva gestione dei flussi migratori fatta negli ultimi decenni ha contribuito al diffondersi della paura fra la gente, ma la soluzione del problema sta nel gestire gli immigrati presenti in Italia con competenza ed intelligenza e non nel demonizzarli senza fare nulla. La mia impressione, in parte suffragata da statistiche che ho letto, è che la realtà criminale in Italia sia inferiore a quella presente negli anni ‘70 del secolo scorso. Se mi riferisco a Torino, città nella quale vivevo in quegli anni, ne ho la certezza: recarsi alla stazione di Porta Nuova allora costituiva un rischio concreto di assistere o essere coinvolti in risse o ruberie; i quartieri con massiccia presenza di immigrati meridionali erano spesso frequentabili a rischio e pericolo di chi ci si avventurava; a questo si aggiungeva la presenza del terrorismo politico. Anche allora la colpa della situazione era degli immigrati meridionali, che hanno contribuito, in realtà, alla ricchezza ed al progresso della città. Ciò nonostante la percezione dell’insicurezza era allora nettamente minore di adesso: il comportamento di alcuni politici, il fatto che la popolazione è invecchiata e la crisi economica sono probabilmente alla base della situazione attuale.
La criminalità organizzata
Le mafie (e non a caso uso il plurale) sono un fenomeno che condiziona pesantemente lo sviluppo del paese, ma se ne sente parlare solo in caso di crimini rilevanti per l’opinione pubblica o a causa di manifestazioni in ricordo di delitti eccellenti attribuiti alla criminalità organizzata.
La prima cosa che voglio fare notare in proposito è la mancanza assoluta di percezione e comprensione del fenomeno nel Nord Italia; nell’immaginario comune il fenomeno riguarda solo le regioni in cui questi fenomeni hanno avuto origine, come se si trattasse di un appannaggio culturale e etnico confinato. Questa forma di pensiero urta contro i dati di fatto e contro la logica.
Se mi riferisco a Torino, già quaranta anni fa era evidente la presenza della criminalità organizzata: l’omicidio del procuratore della Repubblica Caccia (1983), pur con i suoi depistaggi, e il rapimento Castagno (1984) ne sono fatti salienti. Eppure nella città non c’è la percezione della presenza della ’ndrangheta, nonostante questa abbia costruito intere zone della città.
Nonostante la presenza massiccia di immigrati calabresi, l’allora Ministro degli Interni Maroni, che per la funzione ricoperta avrebbe dovuto essere ben a conoscenza dei fatti, negava la massiccia presenza della ‘ndrangheta in Lombardia, successivamente smentito dalle indagini giudiziarie.
Alla ricerca di voti, è molto più facile creare insicurezza puntando il dito contro gli immigrati, che certamente hanno un peso nella commissione dei reati in Italia, senza fare nulla per cambiare la situazione in termini di inserimento dei migranti nella società od anche, dove possibile ed opportuno, di respingimento nei paesi d’origine; è anche da notare che spesso i reati commessi dai migranti sono favoriti dalla criminalità organizzata, che li utilizza per le attività criminali di basso livello.
Combattere contro la criminalità organizzata è invece molto più pericoloso e spesso negativo per ottenere consenso della gente.
Di sassolini ne ho molti altri nelle scarpe, ma oggi mi limito a questi.
Pietro Immordino
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