Moncalieri,7 agosto 2017
La comunicazione
Inizio da un fatto recente che ha riempito per giorni i media: la storia del piccolo Charlie. Commenti sono venuti da tutte le parti, emozione nella gente, interventi persino da parte del papa. Certo la morte di un bambino ancora lattante è un fatto che suscita in tutti pietà, ma il caso del piccolo Charlie aveva qualcosa di particolare, di interesse generale, era socialmente rilevante, così da diventare una notizia di primo piano per molti giorni sui media di tutto il mondo? Vorrei ridurre la cosa alla sua essenzialità: si trattava di un bimbo affetto da una grave malattia che non gli lasciava speranza, a detta dei medici che l’avevano in cura. Come è naturale i genitori del bimbo rifiutano di arrendersi alla ineluttabilità del caso e tentano tutte le vie, per darsi una speranza. Chiunque si sia trovato in una situazione del genere riguardante uno stretto parente sa che in queste circostanze i freni razionali saltano e ci si appiglia ad ogni, anche assurda, possibilità, più che altro per non arrendersi alla propria impotenza. Purtroppo si trovano spesso sedicenti guaritori che approfittano della situazione e sappiamo bene come spesso anche forze sociali consistenti appoggino l’azione di simili ciarlatani. Quando il caso in esame è divenuto pubblico, si è fatto avanti un medico che ha dichiarato di avere una cura sperimentale per il piccolo Charlie, salvo poi ritrattare tutto. Nel frattempo tribunali, medici, burocrati sono stati a lungo impegnati su un caso pietoso, ma senza che la loro azione avesse alcuna probabilità di migliorare la situazione. Naturalmente i media hanno messo in risalto ogni particolare che potesse muovere a pietà: uno fra tutti, il bambino non festeggerà il suo primo compleanno! Ora ripeto la mia domanda: che importanza generale aveva la storia? Solo quella di suscitare emozione fine a se stessa, cosa ottima e consueta in arte (opere teatrali, romanzi, film) ma assolutamente fuori di luogo per gli organi di informazione.
Ora faccio un excursus storico sui fatti che hanno insanguinato l’Italia. Ricordate il periodo della cosiddetta strategia della tensione (1968-1980, per alcuni)? Ci furono, fra gli altri, attentati con bombe in una banca di Milano, in una piazza di Brescia, alla stazione di Bologna, su un aereo passeggeri, che fecero centinaia di morti a causa di un’ancora oscura strategia da parte di gruppi non completamente identificati a tutt’oggi. Non mi pare di ricordare che all’epoca i giornali avanzassero l’ipotesi di una paura di massa, che spingesse la gente a rinchiudersi in casa, a non andare in banca a non prendere il treno o l’aereo. I fatti vennero trattati come azioni delittuose gravissime, ma non generalizzabili sul territorio.
Venendo poi a parlare della criminalità organizzata, pare che siano vicine al migliaio le vittime innocenti della mafia, Ma non sento nessuno preoccuparsi di potere cadere vittima della criminalità organizzata. Eppur, senza pensare agli omicidi, nei primi anni ‘90 del secolo scorso a Palermo non era consentito ai cittadini di uscire la sera, pena una quasi sicura rapina. Per uscire da questa assurda e non gradevole situazione lo stato impegnò corpi speciali dell’esercito. Potrei andare avanti con le autobomba che fanno saltare tratti di autostrada, opere d’arte, atrii di palazzi in città, ecc. . Anche per queste ultime cose l’opinione pubblica non si è emozionata più di tanto.
Oggi sento spesso i miei interlocutori esprimere un forte timore di venire coinvolti in un attentato di stampo islamico; la mia risposta è quasi sempre che è meglio che si preoccupino di non essere coinvolti in un incidente stradale. Ma, al di la della facile battuta, c’è veramente da chiedersi perché si è creata una simile psicosi di massa, in un paese a tutt’oggi completamente immune da atti delittuosi di questo genere. Ho già scritto diverse volte del pessimo servizio reso dai media nell’esaltare la pericolosità dei singoli atti criminali, facendo di ogni sedicente o presunto attentatore islamico una specie di eroe, anche se negativo, nonostante molto spesso si sia trattato di emarginati che trovavano una folle via d’uscita alla loro emarginazione attraverso gesti folli e per loro assolutamente inutili. Attenzione, non vorrei che chi legge possa pensare che io non mi renda conto che dietro il fenomeno del terrorismo islamico ci sono delle organizzazioni complesse ed efficaci, quello che voglio dire è che esaltando i gesti dei singoli individui si crea l’humus necessario perché altri seguano lo stesso percorso, facendo così il gioco di chi fomenta ed organizza.
Ho voluto scrivere questo articolo per mettere in luce da una parte l’importanza e dall’altra la pericolosità del “quarto potere”. Esaltare certe notizie o trascurarne altre, presentare i fatti in un certo modo o in un altro influenza in modo decisivo l’opinione pubblica. Qualcuno dice che oggi non è più così, poiché i social permettono a tutti di esprimere la propria opinione liberamente e di farsi un’idea compiuta della realtà; io penso allora a Beppe Grillo e al suo “uno vale uno”: non c’è niente di più falso. Internet è un mezzo e, come tutti i mezzi, viene utilizzato da chi ha potere e soldi in maniera più efficace rispetto alla popolazione comune. Per di più internet è un mezzo enormemente potente ed invasivo e più potente è l’arma, meno contano le masse. Basta pensare alle grandi compagnie che operano sul web: facciamo acquisti, andiamo in vacanza, al ristorante, al cinema e persino compriamo libri, seguendo le loro indicazioni e loro carpiscono tutti i dati relativi alle nostre abitudini, ai nostri desideri, ai nostri movimenti. Però, come si dice in fisica, ad ogni azione corrisponde una reazione (anche se non eguale e contraria!).
Pietro Immordino
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