Moncalieri, 12 febbraio 2017

Sassolini

Il fu Presidente della Repubblica Francesco Cossiga, in vicinanza della fine del suo mandato presidenziale, inizio ad esternare le sue idee senza tanto preoccuparsi delle reazioni del mondo politico ed istituzionale; cominciò, cioè, a dire la sua sulle cose che pensava venissero presentate dalla stampa o dalla politica in modo per lui sbagliato. Quelle esternazioni lui le definì: “sassolini che mi voglio togliere dalla scarpa”. Anche io mi voglio togliere dei sassolini dalla scarpa, certo senza che questo susciti lo stesso scalpore allora provocato dalle uscite di Cossiga, ma comunque con mia piena soddisfazione

1 - Il vincolo di mandato

Lo spettacolo che hanno dato negli ultimi anni alcuni nostri parlamentari, passando da uno all’altro schieramento solo per meri motivi di opportunità personale, ha dato fiato a chi vuole imporre il vincolo di mandato per i parlamentari; al solito, si vuole buttare via il bambino insieme all’acqua sporca. Alcune realtà esistenti dovrebbero invece fare pensare ad un rafforzamento dell’assenza del vicolo di mandato, accompagnato da una scelta veramente popolare dei parlamentari.

L’esempio più evidente dei danni che può fare l’instaurazione del vincolo di mandato è dato dal comportamento del gruppo dirigente dei 5Stelle (leggi: Grillo e Casaleggio) nei confronti del vincolo di mandato. I due hanno di fatto istituito il vincolo di mandato costringendo i parlamentari 5Stelle a sottoscrivere un documento notarile nel quale essi accettano pesantissime pene economiche nel caso cambino gruppo parlamentare. Questo è stato solo un sistema per rafforzare la mancanza di democrazia interna dei 5Stelle: comandano Grillo e Casaleggio e tutti gli altri devono solo obbedire.

I collegi uninominali di piccole dimensioni, già previste nel Mattarellum, creerebbero un legame più diretto fra elettori ed eletti, con la conseguenza che l’assenza del vincolo di mandato avrebbe un senso, in quanto gli eletti dovrebbero rispondere solo a quelli che li hanno effettivamente eletti e non ai capi-partito. Però i collegi uninominali hanno un senso solo se sono impedite le presentazioni di uno stesso candidato in più collegi, come è avvenuto in passato: che senso ha creare dei piccoli collegi in diversi dei quali si presenta lo stesso candidato, che poi cede il posto a un non eletto?

2- Le preferenze

Le preferenze vengono oggi elogiate quasi da tutti come simbolo di corretto esercizio della democrazia; ricordo come qualche hanno fa esse venissero considerate fonte di ogni male.

In realtà non ha alcun senso dare una preferenza scegliendo i candidati da una lista preconfezionata dalle dirigenze dei partiti ed è ben noto come i primi posti delle liste siano sicuramente quelli più votati in ogni caso.

In assenza della possibilità di voto in piccoli collegi uninominali, di cui parlavo prima, la soluzione giusta va cercata nella istituzioni di primarie regolate per legge, in maniera tale che le liste vengano create attraverso una votazione fra le basi dei partiti; tali liste, naturalmente, devono essere numericamente ridotte perché abbiano un senso. Dubito, però, che questo sistema possa essere approvato, perché toglierebbe potere ai capi-partito.

3- Bipartitismo e bipolarismo

Continuo a sentire un gran parlare di bipartitismo e bipolarismo, mentre nella realtà sorgono continuamente nuove formazioni partitiche (mi viene difficile chiamarle politiche!). In Italia ogni leader che in qualche modo pensa di potere canalizzare su di se un congruo numero di voti, appena non è soddisfatto di quello che ottiene all’interno del partito di appartenenza, fonda un nuovo partito. In questa condizione sarebbe logico tornare senza indugi al voto con il sistema proporzionale.

Si fa l’obiezione che il sistema proporzionale in passato è stato foriero di una grande instabilità governativa; ed è vero, se riferito al passato. In un sistema caratterizzato da un partito, la Democrazia Cristiana, sempre al governo e con correnti interne sempre in lotta fra di loro, l’appoggio di formazioni politiche con piccole percentuali di voto era essenziale per spostare gli equilibri interni della DC e formare un nuovo governo. La differenza con l’oggi è che allora i partiti erano fortemente strutturati e presenti sul territorio, per cui le percentuali di voto, anche dei piccoli partiti, non variavano sensibilmente fra una elezione e l’altra; variavano in piccola misura anche le persone degli eletti. Un piccolo partito, come per esempio era il Partito Repubblicano, metteva in crisi il governo, con la quasi certezza di ritrovarsi dopo l’elezione con una stessa percentuale di votanti.

Oggi le cose sono profondamente cambiate; la legislazione attuale continua ad andare avanti, nonostante le fibrillazioni interne del partito di maggioranza (il PD) perché alcuni partiti rischierebbero di scomparire in caso di nuove elezioni e, soprattutto, molti degli attuali parlamentari non verrebbero rieletti. I 5Stelle si dichiarano pronti ad elezioni immediate, ma quanti loro parlamentari in realtà le temono, perché hanno la quasi certezza di non essere rieletti?

In ogni caso, le leggi elettorali che si sono susseguite negli ultimi decenni non hanno affatto assicurato la stabilità di governo, perché mettere assieme anime di formazioni profondamente diverse aiuta a vincere le elezioni, ma non a perseguire una linea di governo comune.

In conclusione, la migliore legge elettorale che si può fare dovrebbe comportare piccoli collegi uninominali, un sistema proporzionale, la sfiducia costruttiva, cioè la possibilità di fare cadere un governo solo con la presenza in parlamento di un’altra maggioranza pronta a sostituirlo. Quest’ultima opzione è, per esempio, presente nelle costituzioni tedesche e spagnole.

A parte la sfiducia costruttiva, mi pare che il Mattarellum corrisponda assai bene a quanto detto prima, con l’aggiunta del divieto dei candidati di presentarsi in più collegi.

Ma i nostri parlamentari giocano a far finta di volere andare subito alle elezioni….

4 - I voucher

La polemica sui voucher di questi giorni mi sembra una cosa da persone che vivono al di fuori della realtà dei nostri giorni; nell'ascoltare Landini e la Camusso mi viene subito in mente l’imitazione che ne fa Crozza: razza preistorica. Certo, gli abusi nell’uso dei voucher ci sono e vanno corretti, ma pensare che abolendoli si risolva o si migliori il problema del lavoro nero è una cosa insensata.

Io non sono certo molto addentro ai meccanismi del lavoro nero, ma so bene, come tutti, che gran parte delle colf lavorano in nero, come da loro stesse spesso richiesto tassativamente, per evitare di essere soggette a tassazione ed usufruire dei servizi pubblici gratis o con forti sconti. Spesso queste colf rifiutano i voucher in cambio di una maggiorazione della paga oraria effettivamente percepita; lavorare in nero rappresenta, poi, per alcune di esse un’arma di ricatto nei confronti dei datori di lavoro, perché le attuali leggi prevedono sanzioni e risarcimenti solo a carico di quest’ultimi. La legislazione sulle colf, nata nei lontanissimi anni ‘50 del secolo scorso, andrebbe forse rivista in maniera più consona alle situazioni attuali.

Voglio, inoltre, riferire una frase colta al volo mentre facevo colazione al bar di un piccolo paese siciliano, ma penso che le stesse cose si possono sentire in qualsiasi paese agricolo d’Italia: “Cumpa’, come ce la posso fare io, che pago i miei lavoratori 50 Euro al giorno, mentre il mio vicino li paga 30 Euro?” E si parlava di giornata di lavoro non certo composte da sole otto ore.

Il sindacato non cerca vie nuove per adattarsi alla situazione attuale, ma si rifugia nella difesa dei diritti di una parte di lavoratori dipendenti, ormai minoritaria nel paese, senza in realtà trovare delle soluzioni valide per nessuno.

Conclusioni

Mi sono tolto qualche sassolino, ma molti ancora me ne restano nelle scarpe, vedrò di togliermeli in un prossimo futuro. Vorrei sapere, però, quanti Italiani hanno analoghi sassolini nelle scarpe e cosa fanno per toglierseli.



Pietro Immordino

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