Moncalieri, 15 gennaio 2016
Spazio, avidità e ambizione
Ho letto e riletto con interesse l'articolo dell'amico Alberto Cavallo La macchina della guerra come sempre pieno di riferimenti precisi e puntuali. Naturalmente sono d'accordo con le cose che dice e vorrei solo aggiungere qualche osservazione in merito.
Il fatto che il mondo occidentale produca la stragrande maggioranza degli armamenti oggi in commercio in effetti non lo rende affatto più sicuro né più forte in assoluto; anzi, per certi versi, lo rende meno forte e meno sicuro. Intanto, la maggior parte delle armi prodotte non resta nei paesi di produzione, ma viene venduta in giro per il mondo ed è acquistabile da chiunque abbia soldi a sufficienza. Gli embarghi sono solo e sempre stati una finzione: ricordo che ad un certo punto si è scoperto persino che il fratello del presidente degli Stati Uniti Carter trafficava con la Libia, allora considerata nemico numero uno degli States. L'avidità è un motore inarrestabile degli uomini pertanto l'interesse economico o finanziario non può certo essere fermato da leggi o editti o remore morali. Inoltre oggi i mezzi per rendere insicuro uno stato sono di semplice e facile reperibilità: spesso i mezzi usati per compiere attentati sono assai più complessi e di più difficile reperibilità rispetto a quelli necessari per ottenere analoghi risultati, solamente perché si vuole che siano anche spettacolari e esemplificativi.
Ma ho divagato un poco. Tornando all'argomento, essendo l'avidità la molla principale di molti esseri umani, mi pare interessante la tesi sostenuta da Alberto che le industrie degli armamenti potrebbero trarre guadagni riconvertendosi in parte alla produzione di mezzi ed attività utili alla conquista dello spazio. So che questo suscita molto scetticismo nei più, ma voglio ricordare un paio di episodi personali, che servono, forse, ad attenuare lo scetticismo.
Il primo riguarda il mio lontano passato scolastico: nel 1960 il mio professore di fisica di allora affermava l'impossibilità di un viaggio dell'uomo sulla Luna. Le sue affermazioni erano basate su un argomento tecnico allora inoppugnabile: non c'era (e non c'è, aggiungo io) alcun metallo che potesse resistere alle temperature sviluppate sulla superficie esterna dei veicoli al rientro dell'atmosfera terrestre (la cosiddetta “barriera del calore”). Pochi anni più tardi, il 20 luglio del 1969, mentre passeggiavo nel centro di Torino, mi sono bloccato per osservare attraverso la vetrina di un bar la discesa del primo uomo sulla luna: il problema della barriera di calore era stato superato semplicemente mettendo sull'involucro esterno dei veicoli spaziali delle mattonelle di materiale che si consumava man mano che si produceva il calore.
Al secondo episodio era presente anche Alberto: mentre discutevamo della possibilità di colonizzare altri pianeti, un terzo amico ha manifestato tutto il suo scetticismo in merito, ritenendo la realizzazione dell'impresa improbabile e tecnicamente impossibile. Allora gli risposi ricordando come la scoperta dell'America da parte di Cristoforo Colombo fosse stata un'impresa certamente più difficile, con i mezzi dell'epoca, rispetto alla conquista dello spazio con i mezzi dell'odierna tecnologia; oltretutto Colombo scopri una terra di cui non conosceva l'esistenza, sbagliando anche tutti i calcoli relativi alla navigazione.
L'impresa di Colombo mi fa venire in mente anche un'altra molla del comportamento umano. La regina Isabella, che finanziò il viaggio, era certamente mossa da sentimenti di avidità (la Spagna avrebbe controllato la via delle spezie, la merce più preziosa di allora), così come Colombo; ma altrettanto certamente in ambedue ha agito anche un sentimento di affermazione personale nei rispettivi ambiti, l'ambizione.
Ritorno all'articolo di Alberto: mi sembra proprio difficile che cambi la mentalità dei dirigenti delle industrie degli armamenti; quello che vedo possibile è che essi, per un qualche sopravvenuto motivo, trovino più interessante dal punto di vista economico/finanziario dedicarsi, almeno in parte, alla conquista dello spazio invece che esclusivamente alla produzione di armamenti. Fino ad ora, Alberto lo lascia intendere anche se non lo dice chiaramente, è valsa la logica del “Finché c'è guerra c'è speranza” ed il business degli armamenti è stato (assieme a quello della droga ed al traffico di esseri umani) assai più attrattivo di altri. Ma le condizioni potrebbero cambiare.
Non penso ad un cambiamento indotto da fenomeni come quello dell'Isis, che anzi rischia di rafforzare la corsa agli armamenti attraverso il solito perverso incastro, perfettamente descritto nel film di Alberto Sordi prima citato: armo i ribelli perché così gli stati dovranno armarsi di più. Le industrie degli armamenti avranno sempre più interesse ad investire nel settore se non cambia qualcosa.
Ma cosa può cambiare? I grandi cambiamenti nella storia sono spesso avvenuti per circostanze impreviste e fortuite, e/o per la volontà , capacità e testardaggine di uomini che hanno rischiato la loro esistenza e/o i loro averi per una scopo. Non posso certo sapere cosa avverrà in questo campo, ma posso tentare di formulare delle ipotesi che hanno una certa probabilità di successo.
La prima ipotesi, che penso prima o poi si verificherà, è quella che una sonda spaziale che opera su Marte, sulla Luna, su un asteroide o su un qualsiasi altro corpo spaziale, scopra la presenza di materiali ritenuti estremamente redditizi e facilmente estraibili. Questi materiali potrebbero essere sostanze già note, quali ad esempio brillanti, uranio, litio, ecc., o materiali completamente nuovi; in ogni caso, se c'è qualcosa che è fonte di grossi guadagni si scatena subito la “caccia all'oro” e nugoli di individui e di società si mettono alla caccia. D'altronde, nell'articolo a cui mi riferisco Alberto dice che già ci sono gruppi negli States che operano in tal senso.
La seconda ipotesi, che in parte comprende la prima, è che un mecenate, o un gruppo di mecenati, decidano di investire nell'impresa della conquista dello spazio i loro avere e la loro reputazione; in questo caso la redditività immediata dell'impresa forse andrebbe in secondo piano, rispetto all'ambizione di compiere un'impresa eccezionale.
Magari, però, la vicenda avrà tutt'altra piega, ma quello che mi sembra di condividere è che la conquista dello spazio è un'impresa in cui l'umanità, prima o poi, si cimenterà. Le difficoltà tecniche, se mai ce ne fossero, si superano con l'impegno economico e la volontà. A questo proposito è forse utile ricordare che, con le sole conoscenze del momento, una comunità umana può tranquillamente sopravvivere in qualsiasi luogo siano presenti acqua e luce. Ma con le capacità tecniche di domani non è detto che anche questi limiti non siano superati
Pietro Immordino
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