Moncalieri, 31 agosto 2015
Chi se n'importa
In questi giorni tutti i media rilanciano in continuità il problema della “mafia romana”. Vorrei tanto che tutti quelli che ne parlano fossero sinceramente interessati alla difesa della legalità e della moralità della nostra capitale, ma ho fondati sospetti che l'interesse di molti di loro sia soltanto quello di trarre dalla vicenda un vantaggio politico.
Ma partiamo da lontano, da lontanissimo, dagli anni in cui i media negavano l'esistenza in Sicilia di un fenomeno criminale chiamato “mafia”. Tutti gli abitanti dell'isola erano ben consci del radicamento mafioso nella società in cui vivevano, ma non se ne curavano più di tanto, almeno fino a quanto non venivano toccati nei loro interessi o affetti personali. Molti di essi ricorrevano al “don”, o meglio “zio”, per ottenere favori e giustizia, favori e giustizia che naturalmente presupponevano un contraccambio, anche se non immediato o immediatamente percettibile. C'è voluta una stagione di stragi e molti sacrifici di persone illuminate perché una parte dell'opinione pubblica si schierasse contro la criminalità organizzata isolana. Ma oggi pochi Siciliani conoscono i nomi di Pietro Scaglione, Gaetano Costa, Ninni Cassarà e dei tanti altri che hanno dato la loro vita per difendere una parvenza di legalità nel nostro stato.
Ma che c'entra questo con la “mafia romana”? Se avete la pazienza di leggermi fino in fondo, tenterò di spiegare come l'atteggiamento di negazione o/e l'indifferenza verso i grandi fenomeni criminali sia una costante italiana, con l'aggravante, al di fuori delle aree geografiche ormai riconosciute anche nel sentire comune come mafiose, di una gravissima sottovalutazione del problema.
Cito, a questo proposito, un episodio di cui sono stato co-protagonista nei giorni seguenti all'elezione del presidente Sergio Mattarella. Un amico, che è stato sindaco nel suo paesino natale nell'Astigiano, mi ha candidamente chiesto se Piersanti Mattarella fosse stato un giudice o un poliziotto. Ora, che un cittadino del Nord Italia, impegnato in politica, ignori che il presidente di una regione italiana è stato ucciso perché tentava di moralizzare la politica isolano è purtroppo un fatto assolutamente consueto, ma terribile nelle sue conseguenze di sottovalutazione dei problemi di controllo sociale e prevenzione delle attività criminali.
Mi si dirà: ma quello è stato un fatto che ha riguardato una regione lontana e che non ha emozionato più di tanto il Piemonte. Bene, vorrei sapere allora quanti in Piemonte sanno chi è stato Bruno Caccia, ucciso in Torino da esponenti della 'ndrangheta calabrese, per motivi che non sono stati mai chiariti del tutto. E ancora, chi si è mai preoccupato e si preoccupa ora della penetrazione della nominata consorteria criminale nella vita politica, economica e finanziaria del Piemonte? I più ignorano completamente il fenomeno e/o lo sottovalutano.
Posso dire cose analoghe, se non peggiori, della Lombardia: è successo recentemente che esponenti politici di primo piano abbiano negato l'esistenza di forme di criminalità organizzata, legate anche alla vita politica, subito dopo smentiti dalle inchieste della magistratura.
Gran parte delle altre regioni italiane hanno problemi analoghi a quelli che ho appena descritti; mi preme a questo punto rimarcare che quasi tutte le inchieste sulle grandi organizzazioni malavitose italiane mettono in luce (mai, purtroppo, a pieno) presenze istituzionali deviate. Non mi riferisco solo agli esponenti di questo o quel partito: quando si indaga su un grave fatto criminale si finisce per imbattersi in non chiare presenze dei servizi segreti,di appartenenti alle forze dell'ordine ed anche di magistrati. Un quadro desolante e preoccupante, che dovrebbe far fischiare le orecchie a chiunque.
Fino a questo punto ho parlato di organizzazioni criminali classiche (mafia e 'ndrangheta), ma già sono venute alla luce altre forme criminali altrettanto, se non più, pericolose: basti pensare alla famosa P2 di Lucio Gelli. Ma fenomeni più preoccupanti vengono fuori dalla cronaca di tanto in tanto: per fare un esempio, di recente è stato arrestato un signore a nome Pasquale Paolo Locatelli, di origine bergamasca, e non siciliana, calabrese o campana. Questo signore non risulta abbia commesso personalmente omicidi, come per lo più fanno almeno all'inizio della loro carriera i boss “classici”, ma movimentava enormi quantità di droga ed aveva la possibilità di fare intervenire un commando armato in grado di liberarlo durante una traduzione carceraria in Francia, disposta, ironia del caso, per rendere più sicura la sua prigionia. Anche in questo caso sembrano emergere connessioni non molto chiare fra questo individuo ed esponenti di spicco della sua zona di origine.
Ma veniamo a Roma: il caso è esploso dopo i sontuosi funerali di Casamonica. Secondo il mio parere sarebbe stato molto meglio non fare tanto chiasso attorno al funerale e prendere delle decisioni per impedire future manifestazioni del genere: più se ne parla e più si aumenta l'importanza del clan agli occhi della gente. Ma non è di questo che voglio parlare, ma dell'anomalia del clan, costituita dal fatto che pare non abbiano mai commesso omicidi. Non mi interessa tanto che questo sia vero o meno, ma il fatto che non rivendichino omicidi dimostra che non ne hanno bisogno: questa gente terrorizzava le vittime con botte e minacce, ma, soprattutto, esercitava un fortissimo potere finanziario ed economico: nella loro zona non lavoravi e non facevi affari senza il loro consenso.
I due ultimi casi dimostrano come il potere criminale si possa esercitare senza apparentemente ricorrere alla forma estrema di violenza, l'omicidio, ma in buona parte attraverso il potere economico.
Più complessi ed interessanti sono gli episodi che si riferiscono al duo Carminati-Buzzi: il primo ha un passato criminale ricco di episodi feroci è c'è da chiedersi come fosse in libertà e potesse agire liberamente senza alcun controllo di polizia; il secondo era pienamente dentro le istituzioni ed intratteneva contatti con organi istituzionali alla piena luce del sole. É difficile credere che nessuno degli organi istituzionale romani abbia mai avuto sentore della realtà; ma è anche difficile credere che la maggior parte dei comuni cittadini romani abbiano avuto occhi ed orecchie turati.
Le grandi organizzazioni criminali in Italia hanno messo in atto migliaia di omicidi, fatto esplodere autostrade, ucciso in maniera eclatante rappresentanti delle pubbliche istituzioni, ma la pubblica opinione si mobilita molto di più per un drogato che uccide un tabaccaio o per una coppia di migrante che, forse, ha commesso un efferato delitto che per i grandi e persistenti fenomeni criminali. Il collegamento fra chi spaccia droga e chi la consuma viene come ignorato e così il grande colpevole è il piccolo criminale di strada che tenta di scippare una borsetta, mentre il vicino con la Ferrari e la villa, acquistate ambedue con i proventi del narcotraffico, può essere completamente ignorato, anzi quasi ammirato, specialmente se viene ossequiato dai rappresentanti delle istituzioni.
Questo mi riconduce ad un articolo scritto tempo fa:I limiti della democrazia ; la democrazia è un esercizio difficile che richiede attenzione, competenza e partecipazione del popolo; ma oggi accusare il governo per un presunto crimine violento di un immigrato porta un sacco di voti, promettere di combattere la criminalità organizzata nel migliore dei casi non interessa la maggior parte del popolo. Quindi, quindi chi vuole farsi eleggere si tiene lontano da questi problemi...
Pietro Immordino
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