Moncalieri, 14 agosto 2015
Le belle stupidità
Un uomo è stato ucciso da un cinghiale nei giorni scorsi alle pendici delle Madonie, in Sicilia; i giornali danno notizia di altri attacchi di cinghiali ad esseri umani in varie parti del paese; il sindaco di uno di questi paesi emette un'ordinanza per l'abbattimento dei cinghiali in esubero; un'associazione ambientalista immediatamente protesta violentemente.
Questi ed altri fatti consimili mi hanno richiamato alla mente un intervento di tanti anni fa dell'amico Giuseppe Aschieri durante una conferenza che trattava dei problemi ambientali. In sintesi Aschieri diceva che all'interno dei movimenti ambientalisti esistono due tendenza. La prima “mitica” tende a rappresentare una natura originale perfetta, dalla quale è dannoso allontanarsi e che bisogna ad ogni costo ripristinare; la seconda “utopica” che vuole creare degli scenari da prendere a modello, per migliorare e far progredire l'esistente.
Purtroppo ho l'impressione che i movimenti ambientalisti, e segnatamente quelli animalisti, abbiano imboccato la strada del mito, anche se l'evidenza dimostra le assurdità contenute in questa scelta.
Ritornando ai cinghiali, non mi pare che questa specie sia in via di estinzione, anzi è comparsa massicciamente in zone dove prima non esisteva da secoli. Inoltre, spesso non di cinghiali si tratta, ma di incroci con animali domestici, incroci che non sono certo da preservare allo stato selvatico per chi sa quali scopi. La specie non mi pare che abbia delle funzioni ecologiche encomiabili, essendo causa di danneggiamento alle coltivazioni ed ai terreni, nonché di aggressione ad altre specie animali selvatiche e non (esseri umani compresi, come si è detto all'inizio). Ma le associazioni animaliste insorgono se se ne vuole diminuire le popolazioni nei luoghi dove questi animali causano danni notevoli e/o aggrediscono animali domestici ed uomini..... E guai a parlare di permettere ai cacciatori di ridurne il numero all'interno dei parchi in cui la loro presenza è eccessiva!
Ma faccio un breve passo indietro: a partire dalla fine degli anni sessanta dello scorso secolo si è sviluppato in Italia un forte movimento di ripulsa della caccia agli animali selvatici, certo giustificato. Sparare indiscriminatamente, come quasi si faceva allora, ad ogni animale selvatico, senza tenere conto della sostenibilità ambientale di queste azioni, era certo una cosa inammissibile. Tentare di abolire totalmente la caccia ai selvatici o tacciarla di azione indegna e dannosa è però tutt'altra cosa: spesso invito quelli che sostengono queste tesi a riflettere sul fatto che stambecchi, camosci, orsi, aquile reali, ecc., rimasti in Italia discendono da quegli animali che i re d'Italia salvaguardarono in appositi parchi allo scopo di dar loro la caccia.
Viviamo in un mondo basato sul guadagno e la fauna selvatica può sopravvivere solo se diventa una fonte di guadagno e non di danni e problemi alla sicurezza. I parchi naturali africani sono nati e vengono mantenuti perché sono, attraverso il turismo, fonti di guadagno. Nessuno, però, può oggi immaginare di avere grossi branchi di elefanti liberi di scorrazzare per tutta l'Africa centrale, come succedeva un tempo, perché questo non è compatibile con gli attuali insediamenti umani. Ritornando ai cinghiali, non è possibile permettere che questi animali si possano spingere liberamente all'interno di centri abitati (è capitato anche a Torino) ed occorre limitarne la proliferazione, per evitare eccessivi danni materiali e pericoli per le persone. L'assenza di predatori spinge i cinghiali, come pure tanti altri animali, ad una innaturale mancanza di prudenza: pensate ai piccioni cittadini che si lasciano quasi calpestare. Da qui anche un'aumentata pericolosità degli animali di grossa taglia. Non mi riferisco solo agli attacchi diretti contro uomini o animali domestici, ma anche agli scontri fortuiti: io, stesso sono stato vittima di un “incontro ravvicinato” con un cervo, che mi è piombato sull'auto, mentre ero fermo per permettere ai compagni di branco di attraversare la strada.
Un altro episodio che mi viene alla mente è quello relativo al direttore di un parco naturale che aveva il problema dell'eccessiva presenza di cervi all'interno del parco che dirigeva. Occorreva, ed era stato debitamente approvato, un piano di abbattimento selettivo degli animali e vi erano parecchi cacciatori disposti a sborsare un gruzzolo notevole per potere ottenere un trofeo da un cervo da loro abbattuto. Un gruppo ambientalista si oppose accanitamente, sostenendo che solo i guardiacaccia potevano abbattere i cervi. Non riesco bene a comprendere la differenza per il cervo fra una pallottola proveniente dal fucile del guardacaccia e quello del cacciatore, ma quando comanda l'ideologia e non la concretezza è difficile spiegare anche la cosa più evidente. L'unico risultato di questa azione interdittiva fu che il povero direttore non poté ricavare dall'abbattimento i soldi su cui contava per sistemare il parco.
Non voglio dilungarmi oltre nella citazione di fatti reali, perché mi pare abbastanza semplice e concreta una riflessione: la salvaguardia delle specie animali deve essere compatibile con la convivenza con l'uomo, senza recare grossi problemi alle popolazioni, anzi deve, ove possibile, divenire fonte di guadagno e di sviluppo.
Consentire la caccia anche all'interno dei parchi naturali, quando si ravvisi la necessità di ridurre la popolazione di una certa specie animale, non solo non reca alcun danno alla natura, ma può essere un mezzo per evitare lo spopolamento di certe aree, offrendo un'occasione di lavoro alle popolazioni locali che possono essere utilizzate nella sorveglianza della caccia e nelle conseguenti attività turistiche. Gli atteggiamenti ideologici che considerano in ogni caso l'attività della caccia in maniera negativa conducono solo ad uno spreco delle risorse utilizzabili, senza alcun utile né per la natura né per l'uomo.
Purtroppo, però, penso che su questi problemi sia difficile avere un dialogo costruttivo con la maggior parte degli animalisti, per un fatto legato alla loro provenienza. Infatti spesso accade di accorgersi della mancanza di conoscenza reale della natura da parte di coloro che dicono di volerla salvare. Mi è capitato, ad esempio, di sentire un appartenente ad un gruppo naturista (che accompagnava in qualità di guida un gruppo di turisti all'interno della riserva di Vendicari, nel Ragusano) affermare che le volpi sono animali essenzialmente vegetariani, deducendolo da osservazioni sulle tane di conigli presenti sul posto. Finita la visita, l'ho tirato da parte e, basandomi sulle mie conoscenze derivanti dal fatto che ho passato gran parte della mia gioventù in campagna, gli ho fatto notare il cumulo di sciocchezze che aveva detto: il ragazzo è arrossito ed è stato zitto! La mancanza di conoscenza pratica della natura deriva dal fatto che la maggior parte dei componenti i gruppi animalisti hanno vissuto prevalentemente in città, con un rapporto con i fatti naturali derivante più da conoscenze teoriche che da esperienze dirette e continue. Questo è anche il fattore principale che porta alle posizioni “mitiche”, poiché la mancanza di contatti continui con il mondo naturale non consente di avere una rappresentazione vera dei problemi derivanti dal rapporto uomo-animale.
E qui mi verrebbe la tentazione di cominciare a parlare di cani, ma siccome è un argomento che mi porterebbe lontano lo rimando ad altro articolo.
Pietro Immordino
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