Moncalieri, 26 dicembre 2014
Ancora sui migranti
Quello che è successo in questi giorni a Roma, riguardante la gestione dei campi di accoglienza per zingari e migranti, mi ha fatto venire in mente una riflessione fatta mentre assistevo ad alcuni reportage.
I giornalisti che eseguono le visite nei campi spesso mostrano dormitori, gabinetti, cucine che sono non solo in pessimo stato di manutenzione, ma anche semplicemente molto sporchi.
Mi sono chiesto, allora, come mai non fossero gli stessi ospiti di quei campi a provvedere alla pulizia, richiedendo i pochi mezzi necessari allo scopo (spazzoloni, scope, secchi, detersivi). Probabilmente il migrante appena sbarcato o, peggio, abbrutito da mesi di permanenza in condizioni miserevoli non è neppure in grado di organizzarsi per tale incombenza, sia pure elementare; ma i vari enti e le varie organizzazioni che presiedono tali campi non possono provvedere essi stessi ad organizzare gli ospiti per sopperire alle necessità più spicciole e semplici dei campi? Penso che fra gli ospiti ci siano spesso anche operai in grado di eseguire tutte le manutenzioni necessarie, riducendo così i costi ed aumentando il comfort. Un ulteriore beneficio per gli ospiti sarebbe anche di essere tolti dallo stato di inazione e di sentirsi in qualche modo utili a se stessi e non soggetti passivi di una (pelosa) carità.
Temo che anche in questo caso, come già per il lavoro dei detenuti, ci sia qualche legge o qualche regolamento che impedisce l'utilizzo degli ospiti dei campi come forza lavoro: se è così, cambiate leggi e regolamenti in breve tempo. Non credo che molti parlamentari in questo momento possano fare aperta azione di appoggio agli interessi di chi gestisce i servizi per i campi e quindi penso che le modifiche passerebbero rapidamente.
In un mondo in cui tutto è monetizzato, però, una tale proposta, come pure quella per il lavoro ai detenuti, genera opposizioni occulte ed interessate, che frenano soluzioni del genere, che non producono utili per nessuno, salvo che per gli occupanti dei campi.
Pietro Immordino
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