Moncalieri, 21 settembre 2014


Le belle utopie 1

Cesare (Giulio!) alla fine del De bello gallico spesso parla di Galli, uomini, donne e bambini, “passati a fil di spada”. E' facile ed umano non essere d'accordo con simili metodi, ma non si può negare che da quella operazione militare, peraltro iniziata per motivi non certo nobili, abbia avuto inizio il grande Impero Romano.

Le radici della civiltà occidentale affondano in gran parte negli usi, costumi, leggi della civiltà romana antica.

Già, la civiltà: quando si parla di civiltà si pensa alle regole e ai vantaggi che queste regole portano alle popolazioni in cui esse nascono, alle arti che esse favoriscono, alla cultura. In realtà basta dare un'occhiata alla storia (ed anche alla cronaca) per comprendere immediatamente che dietro ogni grande civiltà c'è sempre un esercito potente, efficiente ed anche spietato. Voglio spiegare meglio quest'ultimo aggettivo che può suonare disumano: lo scopo di qualunque esercito in qualunque epoca è quello di battere il nemico e questo scopo si raggiunge tanto più facilmente quanto più si mettono da parte le regole di compassione ed umanità.

Non vorrei, a questo punto, essere frainteso: non sono certo uno che fa il tifo per gli eserciti, spietati o meno, e non mi auguro certo che si ripetano vicende simili a quella della conquista della Gallia; ma non è possibile dimenticare che una qualsiasi civiltà, in qualsiasi epoca, ha assoluto bisogno di un esercito efficiente e preparato per consolidarsi e sopravvivere.

L'obiezione più frequente che mi sento fare a questa asserzione è quella relativa ai cambiamenti che la civiltà umana ha apportato nei confronti dell'atteggiamento verso la guerra: l'uomo odierno sarebbe più maturo e cosciente e quindi gli accadimenti del passato non potrebbero più ripetersi. La storia recente smentisce con evidenza queste affermazioni: dalla seconda guerra mondiale, alla guerra di Corea, al Vietnam, ecc., le atrocità relative ai conflitti umani non sembrano certo scemate o, men che meno, debellate.

L'atteggiamento pacifista è stato certo favorito, nei paesi europei, dal lungo periodo di pace all'interno dell'Europa, ma anche dal fatto che gli Europei hanno di fatto delegato, per tutto il periodo della guerra fredda, la loro difesa agli S.U.. La potente, ed allora efficiente, macchina bellica degli U.S.A garantiva la sicurezza dei confini dell'Europa occidentale. Inoltre una serie di trattati fra gli stati europei, certamente favoriti dall'orrore suscitato dalla seconda guerra mondiale, hanno creato un clima di stabilità interna all'area.

A questo punto faccio una digressione. Tutti coloro che si oppongono all'Europa in nome di presunti vantaggi economici, derivanti dall'allontanamento da questa comunità, dovrebbero riflettere bene sul fatto che all'interno dell'area europea, per un periodo di quasi 70 anni, non ci sono stati conflitti fra gli stati membri; tutti ricordiamo quello che era successo prima, quando non erano presenti istituzioni comuni (basta pensare alle due guerre mondiali).

Ritornando al filone principale, gli U.S.A. non sembrano più essere disposti ad accollarsi (perlomeno non da soli), la difesa dell'Occidente ( e quindi anche la nostra difesa). A questo punto occorre scegliere se avere un esercito efficiente oppure no.

Per tornare all'inizio, i Romani dicevano “Si vis pacem, para bellum”; loro le guerre le preparavano e le facevano, anche senza necessità di difendersi. Noi dobbiamo essere in grado di difenderci; qui cominciano le difficoltà.

Difendersi oggi significa solo difendere i nostri confini da aggressioni esterne? Anche qui occorre ricordare quanto è avvenuto in tempi recenti: pochi decenni fa un dittatore libico, a cui poi un nostro capo di stato avrebbe baciato la mano, lanciò due missili contro la nostra isola di Lampedusa, per fortuna mancandola. Beh, avevamo ed abbiamo un esercito per difenderci e Gheddafi non aveva la possibilità e la capacità di spingersi più in là, ma se questo esercito noi non lo avessimo avuto?

La complessità politica e l'internazionalizzazione dei problemi rende poi necessario intervenire fuori dai nostri confini nazionali, per tentare di frenare fenomeni che, altrimenti, ci coinvolgerebbero negativamente in breve tempo. Si pensi solo a quei paesi che addestrano e finanziano i terroristi.

A questo proposito non sono molto d'accordo sulla definizione di terrorismo come guerra dei poveri, visto che il terrorismo ha spesso alle spalle ingenti risorse finanziarie provenienti anche da paesi ricchissimi. Il terrorismo è spesso, a mio parere, una guerra subdola, che ha il grande vantaggio, per chi la fomenta nell'ombra, di non far correre alcun rischio ai fomentatori e alle loro proprietà.

A questo punto naturalmente sorge la domanda: contro chi, come, quando dove intervenire? Questo è il nocciolo della questione e, purtroppo, la domanda non ha mai risposte certe. Abbiamo assistito in passato a informazioni sbagliate, o peggio deviate, che hanno dato inizio a guerre sanguinose; giornalmente siamo bombardati da notizie della cui attendibilità non sappiamo se fidarci. Non ci sono risposte certe a questi dubbi, ma certo la cosa peggiore da fare è quella di rifugiarsi in un falso pacifismo, per il quale le forze di difesa di una nazione diventano un inutile e dannoso orpello, fonte solo di inutili sprechi.

Già, ma come sarebbe bello un mondo senza guerre, senza terrorismo, senza eserciti ed armi!

Chi comincia a disarmarsi ed attende il vicino che al primo conflitto di interessi gli fa sentire il tintinnio delle armi?

Ma i pacifisti sognano un mondo migliore.....

Pietro Immordino



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