Moncalieri, 4 marzo 2014
Il lavoro e i giovani
C'è qualcosa di strano nella società italiana (ma non solo italiana) di oggi; mi riferisco all'alta percentuale di disoccupazione giovanile, che, a mio parere, è uno dei motivi della decadenza della nostra nazione. Dico che questo fatto è strano, perché la società si sta privando dell'apporto di quella sua parte che dovrebbe essere la più piena di energia, capacità di lavoro e visione innovativa.
Credo che il primo passo per tentare di risolvere il problema sia quello di capirne le cause esaminando con attenzione la situazione reale, naturalmente infischiandosene del politically correct. Più volte nel passato autorità politiche sono state attaccate duramente sui media per avere detto cose che rappresentavano parte della verità, se non tutta la verità. Mi riferisco, per esempio, all'affermazione dell'ex ministra Fornero, secondo la quale i giovani Italiani sarebbero "choosy" nella ricerca del lavoro.
Io non penso certo che tutti i giovani Italiani siano schizzinosi nei riguardi del lavoro; anzi, una parte di essi si dichiara disponibile a fare qualsiasi lavoro. Paradossalmente, però, quelli che si trovano in una posizione vantaggiosa per trovare un'occupazione spesso rifiutano lavori che, anche se non duri e faticosi, risultano non corrispondere alle loro aspettative. Certamente tutti quelli che mi leggono hanno conosciuto ragazzi che, acquisito un "pezzo di carta", sono solo in aspettativa di una posizione a cui pensano di aver diritto in virtù di quel titolo, magari esclusivamente attraverso la partecipazione ad un concorso pubblico. Personalmente ho conosciuto anche il caso di un ragazzo che ha rinunciato a gestire una pizzeria, messa su per lui con grande sacrificio dal padre, perché tale lavoro non gli avrebbe consentito di uscire la sera con gli amici.
Naturalmente ho anche esempi opposti, di ragazzi che si danno da fare in tutti i modi per ottenere un lavoro, in alcuni casi riuscendovi facilmente ed in altri faticando moltissimo per ottenerlo o non riuscendovi affatto. In ogni caso è veramente anomalo che regioni italiane che hanno un tasso di disoccupazione giovanile vicino al 50% abbiano contemporaneamente massicce popolazioni di immigrati, in qualche modo occupate.
Per concludere l'esame dello stato di fatto, dirò che, come in ogni altro fenomeno sociale, nella popolazione giovanile c'è di tutto, dallo stakanovista al fannullone, dal mammone attaccato alla gonna materna fin oltre i 40 anni al diciottenne che gira l'Europa sbarcando il lunario con lavoretti vari. Quale sia il peso percentuale sulla popolazione giovanile delle varie categorie, proprio non so, Lascio ad altri l'analisi quantitativa del problema, poiché a me ora interessano le cause del mancato assorbimento dei giovani nel mondo lavorativo.
Nelle società umane allo stato primordiale i figli erano l'assicurazione per la vecchiaia dei genitori. I mezzi di sussistenza degli individui in queste comunità dipendevano in gran parte dalle loro capacità fisiche e pertanto i giovani erano molto più adatti dei vecchi a procurarseli. Con l'evolversi della civiltà vi sono stati due fattori che hanno cambiato drasticamente la situazione: l'attività puramente manuale ha perso rilevanza rispetto alle attività di tipo intellettuali e la possibilità di accumulare e conservare, in svariati modi, ricchezza ha reso i vecchi indipendenti dai giovani. Ho semplificato la questione, poiché quello che mi interessa è utilizzare quando detto al fine di cercare di comprendere la questione giovanile.
In questo quadro gli individui sono portati ad acquisire ricchezza, potere, rilevanza sociale man mano che invecchiano; ma anche a mettere in atto regole che consentano loro di non essere estromessi dall'attività lavorativa, anche a scapito di chi il lavoro non ce l'ha, compresi i giovani. So che questa è una visione parziale e semplicistica, ma parto da qui per tentare di capire meglio il problema.
La prima cosa che osservo è che nella società degli States, che spesso a torto o a ragione viene citata ad esempio, la possibilità per i giovani validi di affermarsi è molto più alta che in Italia. Questo significa che i vecchi negli Stati Uniti sono più comprensivi verso i giovani degli Italiani? Credo proprio di no; la differenza sta nel fatto che la quella società ha saputo coniugare un individualismo estremo con la ricerca della massima efficienza globale del sistema. Sprecare il talento di un giovane non danneggia solo quel giovane, ma anche tutta la comunità alla quale egli appartiene. Quindi esiste certamente in Italia un problema di regole ed usi che tarpa le ali ai giovani.
Inoltre, quando penso ai giovani penso alla scuola, che dovrebbe formarli per renderli adatti alla vita da adulti. Succede questo? Ho moltissimi dubbi che la scuola italiana abbia la capacità di formare giovani adatti al moderno mondo del lavoro; per fare questo, per prima cosa, dovrebbe avviare una formazione continua, vera ed efficace dei suoi insegnanti, che mi pare al di là da venire. Mi rendo conto dell'immane, complesso e difficile compito di modernizzare la scuola italiana, ma questo è un passaggio necessario per avere classi giovanili di più elevata capacità.
Un altro punto cruciale per la crescita dei giovani è costituito dalla informazione-formazione che essi ricevono dai media. Trascurando i giornali, non certo molto letti dai giovani, la tv commerciale ha diffuso modelli di comportamento micidiali per la loro formazioni: dalla violenza fine a se stessa all'immagine del tycoon senza scrupoli e senza regole (ma purtroppo questo non è visibile solo in tv). L'uso dei social network, che ha soppiantato la visione della tv presso molti giovani, non ha prodotto esempi migliori. Da Facebok i giovani passano a Twitter; dalla foto delle vacanze e dal "pensiero del mattino" alle frasi brevi e non meditate, magari postate per essere lette nei sottotitoli di una trasmissione tv. Insomma, la riflessione seria e approfondita sembra non appartenere più a questi giovani. Incidentalmente, mi ero quasi convinto a soppiantare questo sito con un blog, ma l'altra sera ho guardato i twet postati nel sottotitolo di una trasmissione tv e, visto il loro livello di approfondimento, ho cambiato radicalmente idea.
Indubbiamente poi c'è una fascia di giovani che hanno vissuto in un ambiente familiare iperprotettivo, che non faceva loro mancare niente, che non li stimolava a migliorarsi, magari tentando di eliminare il senso di colpa per la mancanza di tempo dedicato ai figli con regali e permessività. D'altronde genitori che avevano sudato e sofferto per ottenere il benessere non se la sentivano di imporre sacrifici ai figli.....
Potrei continuare a lungo sulle possibili cause di estromissione dei giovani dal mondo del lavoro, ma quello che mi premeva fare è di porre l'attenzione su questo problema, di cui si parla spesso ma per il quale si fa molto poco. Dare dei modesti incentivi alle aziende che assumono giovani è un pannicello caldo, così come è una tremenda bufala pensare che ci sia concorrenza fra il lavoro dei giovani e quello degli anziani, anche se nel breve periodo può sembrare così: una società ben organizzata cresce in tutte le sue parti ed il lavoro dei giovani è complementare a quello degli anziani. Abbiamo un nuovo governo, che fa tante promesse ed è pieno di energia. Che ne dedichi un poco con serietà ed efficacia al problema del lavoro per i giovani, magari non solo con pannicelli caldi, per un poco di consenso immediato, ma anche con una visione complessiva nel medio-lungo termine della questione, per il bene della nazione!
Pietro Immordino
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