Moncalieri, 2 novembre 2017
La paura
L’attentato di New York avvenuto nel giorno di Halloween mi ha richiamato in mente quanto scritto da me precedentemente circa il modo di trattare simili eventi da parte dei media: ingigantire il singolo evento, spesso opera di un esaltato senza reali collegamenti con le menti ispiratrici, non fa altro che spingere altri esaltati dalle menti fragili o/e sconvolte a ripetere gesti simili. Purtroppo ero stato facile profeta e temo che episodi di questo genere si ripeteranno sempre più spesso. Insomma, questo modo di pubblicizzare simili fatti è solamente utile a chi tira le fila del perverso gioco.
Ma veniamo all’esame obiettivo del fatto specifico: un uomo alla guida di un furgone entra in una zona pedonale di Manhattan, cuore della Grande Mela, uccidendo 8 persone e ferendone molte altre; finisce la sua corsa contro uno scuolabus e viene ferito da un poliziotto casualmente presente. Le armi che ha in mano e quelle trovate nel suo furgoncino sono risultate armi giocattolo.
Come sempre in questi casi, c’è sempre qualche politico che tenta di utilizzare fatti simili per instillare paura nella gente ed ottenere dalla paura maggior peso politico. In questo caso il presidente degli USA (e chi se lo aspettava da Trump!) ha subito rilanciato, sull’onda dell’indignazione per il tragico evento, i suoi consueti cavalli di battaglia contro gli immigrati.
Io, come sempre, voglio essere politically incorrect ed esaminare i fatti da una prospettiva meno emotiva rispetto a quello che fa la maggior parte dei media. Certo non sottovaluto il peso di una tragedia che ha falciati tante vite innocenti, ma voglio analizzare il fatto da un punto di vista asettico. Innanzitutto non era imprevedibile che ci fosse un nuovo attentato negli Stati Uniti, dopo quello del 2001 alle Due Torri, anzi risulta strano che fino ad ora non ci siano stati altri grandi attentati. Mi spiego meglio, l’attentato alle Due Torri aveva avuto bisogno di capacità organizzativa, ingenti risorse umane e finanziarie, rete logistica; chi prepara un attentato di quelle dimensioni prevede certamente le reazioni dello stato colpito, ma ha tutto l’interesse strategico a tenersi pronto per realizzare un secondo colpo per rafforzare definitivamente la sua immagine di potenza distruttiva. Invece dopo l’11 settembre il terrorismo è miracolosamente scomparso dagli USA, nonostante la facilità che esiste negli States di procurarsi armi, anche di grande capacità offensiva, e la presenza di comunità potenzialmente capaci di fornire personaggi adatti allo scopo.
Venendo al fatto attuale, si è subito scatenata la caccia ai complici ed ai presunti fiancheggiatori. Io mi sono chiesto immediatamente come mai le armi in possesso dell’attentatore fossero dei giocattoli e come mai non si sia trattato di un attentato suicida, come è consueto in questi casi; in un paese in cui, come ho già detto, è facilissimo procurarsi qualsiasi tipo di arma, se l’attentatore avesse avuto alle spalle un minimo di organizzazione valida sarebbe stato armato fino ai denti e sarebbe morto nello svolgimento della sua azione, con uno spargimento di sangue ben maggiore. Il fatto che abbiano trovato un altro uzbeco probabilmente coinvolto, non so bene come, nell’attuazione della strage mi pare assolutamente probabile, ma da qui ad ipotizzare reti terroristiche reali e consistenti ce ne vuole.
Un altro dato da tenere presente è l’altissimo tasso di violenza degli Stati Uniti; 16.000 omicidi nel solo 2015; è da tenere presente che questa cifra non include le numerose uccisioni da parte di poliziotti. Come mai la popolazione degli Stati Uniti viene tenuta in allarme prevalentemente per le stragi terroristiche, che hanno fatto un numero di vittime incomparabilmente minore?
A questo punto, piuttosto che proseguire in una mia analisi personale necessariamente limitata, inviterei i miei lettori a vedere, o a rivedere, la interessantissima inchiesta di 15 anni fa, Bowling a Columbine, mandata in onda su La7 qualche giorno fa.
Ne faccio un succinto riassunto per chi non avesse voglia di fare una ricerca in rete. Il reportage prende spunto da una strage avvenuta in una scuola USA; per inciso, le stragi nelle scuole in USA sono un fatto ricorrente, e di questo, e non del terrorismo, mi preoccuperei io se vivessi in quel paese. L’autore del saggio, così mi piace chiamare il filmato, sfata molti miti, legati alla paura ed alla violenza, ed avanza qualche spiegazione in merito. Per dimostrare l’inconsistenza di certe asserzioni egli analizza quello che succede negli States comparandolo a quanto succede nel vicino Canada. Per dare dei numeri significativi, in Canada, con una popolazione di circa 33 milioni di abitanti, nel 2015 vi sono stati 606 omicidi, negli Usa, con una popolazione di 300 milioni di abitanti, nello stesso anno vi sono stati 16.000 omicidi.
Il primo pensiero quando si parla di violenza negli USA è quello di legare omicidi e stragi alla massiccia presenza di armi in quel paese; ma in Canada praticamente tutti possiedono un’arma, perché tutti vanno a caccia, ed il livello di criminalità violenta è molto più basso, come si evince dai dati prima menzionati; quindi la presenza massiccia di armi non è il principale motivo della violenza. Il secondo motivo che viene indicato come causa di violenza negli States è la promiscuità delle razze e delle provenienze regionali dei suoi residenti ; ma il Canada ha promiscuità persino maggiori degli USA e pertanto anche questo fatto non può essere indicato come causa principale dello scatenamento di crimini violenti. Nel reportage si accenna anche alla paura da parte dei cittadini americani bianchi nei confronti dei negri; ma anche qui si tratta di una paura scarsamente motivata, visto che la diffusione delle armi fra i colored è molto inferiore rispetto ai bianchi: in realtà sono i negri che dovrebbero avere (e forse hanno) una dannata paura dei bianchi, visto l'esistenza di sette feroci come il Ku Klux Clan.
Naturalmente il reportage non arriva a conclusioni compiute sul perché ci sia questa grande differenza fra due stati confinanti, ma mostra semplicemente come trasmissioni televisive e dibattiti politici degli USA siano frequentemente incentrati su fatti violenti e tali di suscitare reazioni di paura fra la gente, che si arma in funzione di difesa (violenta) nei confronti di presunti aggressori. Bellissima è la scena del filmato in cui l’autore apre la porta di un appartamento di Toronto, per constatare se, come gli è stato detto, essa non è chiusa a chiave; al padrone di casa che lo accoglie senza la minima paura dice:”L’ho fatto per vedere se era aperta e grazie di non avermi sparato”. Evidentemente negli USA avrebbe rischiato una pallottola.
La presenza diffusa di atteggiamenti violenti in una popolazione dipende da molti fattori ed ha alla base la storia di quella popolazione, ma è certamente influenzato in maniera considerevole dai comportamenti di leader politici e media. Se i media, per aumentare l’attenzione del pubblico, instillano paure immotivate nella gente, non è possibile evitare reazioni di intolleranza e questo purtroppo avviene con frequenza: mi ricordo, ad esempio, di quando tutte le mamme erano atterrite dalla possibilità che gli zingari rubassero loro i figli, mentre non era in realtà mai successo niente del genere; qualcuno allora era spinto ad atteggiamenti violenti contro zingari e girovaghi? Oggi il grande nemico è l’Islam, e su di esso convergono tutte le paure della gente, anche se qualcuno sommessamente prova a spiegare che Islam e terrorismo non sono concetti corrispondenti.
Purtroppo uno dei mezzi più usati dai dittatori e dagli aspiranti ducetti è quello di additare un qualsiasi gruppo etnico, religioso, o comunque identificabile come entità diversa dalla maggioranza della popolazione, come responsabile di tutti i mali; così si spinge le popolazioni alla caccia alle streghe e, soprattutto, le si inchioda alla paura; lo scopo è sempre quello di distrarre la popolazione dai problemi veri da una parte ottenendo immeritato consenso e dall’altra causando disastri enormi. Oggi in Italia sono indicati come pericolosi nemici gli immigrati (non solo quelli sbarcati clandestinamente); ma quando provate a farvi spiegare come faremmo senza le badanti, i muratori, i lavoratori agricoli che vengono dall’estero, non otterrete mai una risposta convincente.
L’altro spauracchio agitato spesso in Italia è l’Europa; quello che mi sembra una cosa abnorme è la mancanza di visione storica : sottovalutare l’importanza che ha avuto l’Unione Europea nella stabilità politica ed economica del continente è semplicemente assurdo. Nessuno si ricorda più che poco più di 70 anni fa siamo usciti fra le rovine da una disastrosa guerra, combattuta anche fra stati europei? La pace che durante tutti questi anni abbiamo avuto non è forse anche una conseguenza dell’unione fra molti stati europei? In assenza del Mercato Unici Europeo l’Italia sarebbe sopravvissuta all’ultima grande crisi economica? Ma è facile additare un nemico, anche se fasullo, molto più difficile sciogliere i veri nodi della crisi.
La mia conclusione è che le notizie esagerate o parziali, così come le notizie non date, sono altrettanto pericolose delle fake news, perché inducono a comportamenti scorretti. L’unica cosa che dobbiamo fare è imparare a leggere dentro le notizie, per evitare di essere presi in giro.
Pietro Immordino
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